Oliva Gessi, una vita Lavora ormai con una padronanza definitiva. E in perfetta souplesse, sul digitale,intendendolo come modo di accelerazione inventiva, di incursione nelle misure del sogno della forma, dei suoi possibili. Milena Barberis usa il digitale en peintre, e intende la pittura en poète. E narra, con violenza dolce arbitraria introversa. Racconta, ancora racconta: fatti, situazioni, stati d’animo. Al punto di scrivere per immagini, oggi, una sorta di autobiografia del proprio doppio. Beninteso, Milena sta da tutt’altra parte rispetto alle piccole mitologie del” soggetto autorale”, per dirla come Tomasevskij: nulla le appartiene meno del frapporre il proprio statuto di artista, il grappolo delle piccole retoriche del genio creatore, tra le proprie opere e lo spettatore, e più, fra se stessa e la propria opera. La avvarti lì, davanti alle immagini nascenti, in una sorta di feroce, rimuginante nudità emotiva, dipanando un soliloquio che si sa privatissimo e pubblico insieme. Le schegge di un vissuto aggallano in una zona di cui non sai, né t’importa, a ben vedere, la corrispondenza storica. Altra ne è la verità, altra la cruda autenticità. Ne scaturisce, rapsodicamente, per coaguli forti il cui reagente è una visionarietà lucida, lancinante talora, ma nutrita di meraviglia dubbio passione, talora ansia, davvero una storia. La stessa storia che Vivian, preziosa compagna di via, intarsia e contamina, per amplificazioni e trascorrimenti sovranamente ambigui, di parole, di schegge ulteriori. Tutto si può fare, di fronte a queste opere, tranne lasciarsi andare al gioco intellettualistico: non c’è toppa, per la chiave dello snobismo mentale. Dunque, niente arzigogoli alla francese sul je e l’autre, sul double di Clément Rosset e sul collidere di immaginaire e d’illusoire, eccetera. Dunque, niente cinismi mediatici da sdrucito sistema dell’arte, per cui la qualità di questo lavoro si può giustificare con qualche passo adattato di Derrick De Kerckhove & Co. Dunque, niente cascami di immaginario femminile, di condizione della donna artista, e vari slogan d’antiche idee. Il lavoro è lì, di fronte a te, nella sua dickinsoniana ”condizione scalza”, e t’inchioda a uno sguardo che non può atteggiarsi sfuggente, men che meno mediato. Sei lì e vedi un’esistenza che lampeggia, che si riflette e si condensa in passi forti. Senti domande e paure ancestrali, senti sofferenza, senti emozioni. Senti vita, appunto. Una vita. E non solo la sua. Flaminio Gualdoni |
Oliva Gessi, one life She has now acquired a definite mastery of digital art, with perfect spontaneity, using it as a way of inventive acceleration, of incursion into measures of dream and its possibilities. Milena Barberis uses digital technique en peintre, and perceives painting en poète. She narrates with sweet, arbitrary and introspective violence. She recounts and recounts again: facts, situations, states of mind, to the point that, today, she is writing, via images, a kind of autobiography of her duality. It goes without saying, Milena Barberis is on a totally opposite side with respect to the small mythologies of the “authorial subject”, as Tomaševskij said: nothing belongs to her less than placing her own rules as an artist, the cluster of the small rhetoric of the creating genius, between her own works and the spectator, and more, between herself and her work. You can perceive her there, in front of her dawning images, in a kind of wild, pensive emotional nudity, unravelling a soliloquy that one knows is both very private and public. Fragments of past experience come to the surface in a place, the historical similarity of which you do not know, nor do you care to see. Another is the truth, another the crude authenticity. It gushes in fragments whose reagent is a clear, sometimes excruciating, ability to see, but nourished by wonder, doubt, passion, at times anxiety – a real story. The same story that Vivian, a precious companion, adorns and contaminates, but utterly ambiguous exaggeration and lapses, of words, of further fragments. You can do anything in front of these words, except give yourself up to the intellectual game: there is no keyhole for the key of the mental snobbishness. Therefore, no quibbling like the French about the je and l'autre, the double of Clément Rosset and the colliding of imaginaire and illusoire, etcetera. Therefore, no media cynicism like a torn system of art, for which the quality of this work can be justified with a few adapted passages from Derrick De Kerckhove & Co. Therefore, no remnants of female imagery, of female creativity, of the condition of a woman as an artist, and of various slogans of ancient ideas. The work is there, in front of you, in its “barefoot Dickinsonian condition” and it nails you to a glance that cannot pretend to be passing, and even less indirect. You are there and you see an existence that flashes, that is reflected and condensed into powerful steps. You hear questions and feel ancestral fears, you perceive sufferance, you feel emotions. You feel life - precisely! One life. And it is not only hers. Flaminio Gualdoni |
Io Oliva Gessi
In quale dove? / In quale strada poco
frequentata?
Nell'infanzia di un'altra / l'avevano
dimenticata
Le braccia erano gigli appassiti /
foglie ingessate ammalate
Le sbagliavano la strada / da
la`nessuno quasi nessuno / ritornava
La sedevano, la slacciavano / per
meglio allacciarla legarla
Il sottosuolo la chiamava
Il sottosuolo la voleva / la sognava
Fasciata fasciata / nell'infanzia
insanguinata
Ma ora il sangue nelle vene camminava /
pedalava
Voleva vincere / si allenava
Ecco / qualcuno si presentava
Oh come era girato il vento
Tre colombelle bianche aveva disegnato
Come affollati i nidi / la nidiata
La vita virava
Basta tramontare / fine dell'ovest
E` a est che la luce abitava
Che la terra prendeva e dava
Che la strada camminava
Vivian Lamarque
Collegamenti
Articolo sul Corriere della Sera: http://archiviostorico.corriere.it/2005/giugno/25/Gioco_specchi_fra_Milena_Oliva_co_7_050625018.shtml